Comunicato Stampa

 

Lo storico stabilimento balneare Sporting Beach di Ostia si apre all’arte per il terzo appuntamento consecutivo della stagione invernale, con il preciso intento di incoraggiare le potenzialità e la rinascita di un territorio a volte controverso, attraverso la cultura e la bellezza. Cimento e impegno convinto delineano un progetto a piccoli passi ma lungimirante, frutto della ricerca di talenti del luogo, in costante dialogo con artisti, musicisti ed esperti di beni culturali provenienti dalla capitale e oltre. Il desiderio è quello di offrire a Ostia uno sguardo aperto e nuovo, per pensare un futuro migliore, possibile e realizzabile.

Nella raffinata Boutique curata da Alessandra F. Borzacchini, trovano posto questa volta le opere di Edoardo Zamponi in un’antologica incentrata su alcuni nuclei della poetica dell’artista. Le opere, come nelle precedenti mostre, sono esposte nell’ambiente già arredato e decorato dalla mano abile della proprietaria per l’uso estivo di boutique: non un white cube, uno spazio dalla forte connotazione personale che rivela l’intenzione di esporre l’arte homelike, come si fosse in casa.
Il percorso espositivo è pensato come un viaggio, partendo dal centro della terra per arrivare alla sua superficie, parafrasando il romanzo di Verne ma capovolgendolo, nella ricerca della materia primaria, organica, apparentemente resiliente, con cui l’artista entra in contatto e che modella in forme nuove. Le venticinque opere nel loro insieme - pitture a olio e pigmenti, sculture in ceramica e ferro, lavori in cartone e legno -  disegnano i passaggi dell’intelletto, le tracce dell’esperimento dell’arte e del vivere, nella continua ricerca della forma che apra alla comunicazione. Dal fuoco vivido delle opere nella prima sala, che accoglie anche sculture di piccole dimensioni, si attraversa la materia nelle opere scure e ferrose, per arrivare alla crosta terrestre che genera vita negli erbari colorati. A conclusione, un’opera in cui i grandi numeri nella griglia sono il resoconto e la raccolta, la memoria e l’archivio, di certo la razionalità che ammansisce la materia e il suo istinto vitale.

Edoardo Zamponi vive e lavora a Ostia Antica. Si diploma all’Accademia di Belle Arti di Roma, dove frequenta la scuola di pittura di Toti Scialoja di cui diventa allievo prediletto, mentre segue le lezioni appassionate di Lorenza Trucchi. Inizia ad esporre nel 1984 a Bari, e prosegue con mostre collettive e personali in diverse città italiane. Si avvicina intanto alla scultura, che realizza con materiali primari e di ascendenza “povera”, e prende confidenza con la ceramica e le sue fasi di modellazione, colorazione e cottura. Con Massimo Cinelli, Stefano Corti, Naima De Persis e Giuseppe Ziemacki fonda, nel 1990, il collettivo Circolarte e in seguito lavora a lungo con la galleria DIDEE di Siena. Una sua personale dal titolo Carte armate è in corso presso la Galleria Mirror di Vicenza. Del suo lavoro hanno scritto, tra gli altri, Enrico Crispolti, Lorenza Trucchi, Loredana Perego, Paola Pallotta.

Sporting Beach Boutique
Lungomare Vespucci, 6 – Ostia Lido, Roma
11 febbraio – 26 marzo 2017
aperto il sabato e la domenica dalle 11.00 alle 17.00, su appuntamento al +39 327 58 33 242

testo critico per (viaggio) dal centro della terra

 

 1. Fiamme

Non importa quanto ci vorrà. Ha immensi progetti, è paziente, ostinato. Dalla profondità del mondo, dal centro del magma incandescente, osserva come il caos governi le intenzioni e le strutture e come dal fuoco, per successive condensazioni, derivino gli altri elementi, l’acqua, l’aria e la terra. L’effetto luminoso della combustione, dal carattere quasi spirituale, fonde il rigore logico trasformandolo in lava, brucia le incertezze e le ambiguità, innesca il processo evolutivo forgiando il sistema di relazioni tra le cose e perfino l’intensità dei sentimenti. Partire dall’origine, dal centro della nebulosa rovente che vira verso il rosso, e percepirne la voragine, comporta il comprendere la contraddizione dall’inizio, al culmine della velocità, dell’intensità e del calore del Big Bang. Edoardo Zamponi non si sottrae al cimento: entra in contatto la materia, stabilisce con essa un rapporto di comunicazione rispettandone l’espressività originaria e per tentare di modificarne le forme, e la rende docile e fluida, come non fosse ancora nata.

2. Forma

Dai recenti studi di astrofisica, si ritiene oggi che l’universo sia plasmato da una forma di energia, l’energia oscura, la cui composizione e il cui meccanismo sono ancora ignoti. Come una forza oscura, con naturale capacità di manipolazione, Edoardo Zamponi ingaggia una lotta inevitabile con gli elementi primari, tanto resilienti. Ferro, ardesia, legno, grafite, rame, argilla, cera, cartone, juta e pigmenti, prelevati dal loro contesto originario o riesumati da giaciture secondarie, compongono opere che si mostrano come tracce fisiche e mnemoniche di un esperimento. Sono forme obbligate dalle controverse capacità semiotiche e dalla potenza dei materiali che, pur nelle loro diversità - peso, conduttività, malleabilità, durezza, utilità - sembra si adattino morbidamente alle scelte che l’artista compie nella sua officina permanente, provocando una nuova suggestione estetica. E poiché le opere d’arte sono allo stesso tempo manifestazioni di un principio e condensato di eccitazione, nel crearle l’artista compie atti unisoni: richiama la materia primordiale, fatta di energia e tensione, e impronta nuove forme. Così, in questo corpus unitario di “opere al nero”, la materia è perfettamente controllata. Nel processo progettuale e costruttivo la forma trova il suo punctum opticum, l’equilibrio compositivo ideale, parte della tradizione pittorica italiana da Giotto a Capogrossi.

3. Suolo

Nell’attimo cruciale in cui il caos si organizza e dà vita al cosmo in forme analogiche e complementari, ci si ritrova a vagare in immense foreste preistoriche popolate da creature dell’era quaternaria. Le paludi e i boschi, gli avvallamenti e le colline, le pianure e le caverne, l’acqua e l’argilla, le steppe e i pascoli, e poi cose animate e cose inanimate, scheletri, pinnipedi e cetacei, selvaggina, larve e uova. È qui che giunge Edoardo seguendo i condotti dei vulcani dalle striature rosse, ora circondato dalla natura rigogliosa e impervia, tra vegetali grandiosi e piante colossali che credeva estinte. È su questa superficie variamente ma non genericamente amena che si posa il suo sguardo che, tra l’inventario di forme, sceglie con cura i resti correlati di figurazione. Non esiste paesaggio senza rappresentazione di esso, perché il paesaggio comprende la realtà e l’apparenza di realtà, e per riconoscerlo, percepirlo, ascoltarlo e descriverlo occorre tutta la chiarezza dell’intelletto e l’ambizione al godimento estetico.

4. Categorie

Spesso l’opera d’arte assume le sembianze di un insieme enigmatico, di un’equazione matematica la cui soluzione si trova solo attraverso l’enunciazione di una o più formule che ne ammansiscano la durezza del codice espressivo. Non si tratta, banalmente, di scoprire qualcosa che l’opera d’arte nasconde, bensì di un’operazione intellettuale, per arrivare a ciò che più da vicino ci riguarda tutti. Un lavoro comune, un aiuto reciproco tra artista, opera e fruitore finalizzato alla comprensione delle cose e del mondo. In Teorema, l’olio su tela che conclude la mostra, l’idea, la struttura, lo stile, la rappresentazione e l’interpretazione coincidono con l’insieme delle impressioni ricevute e degli accadimenti vissuti, delle percezioni immaginate e delle sensazioni reali. Nel serrato repertorio numerico tutte le possibilità sono raccolte e conservate, e la loro catalogazione formale e concettuale è solo apparentemente schematica. Come in Una volta emerso dal grigio della notte…, piccolo acquerello di Paul Klee, o come in Oggi sedicesimo giorno undicesimo mese, arazzo di Alighiero Boetti, le serie, le specie e le tipologie subiscono la coercizione della categoria soltanto per amore dell’ordine e della forma mentale che allo stesso tempo le libera per tramandarle a chi resta.

Paola Pallotta

 

 

testo critico per  Petra

 

 Petra. Musica per 16 sassi e una conchiglia è la forma in cui Leonardo Gensini mette in atto l'improvvisazione: soltanto dopo aver studiato attentamente tutti i pattern delle oscillazioni che producono quei determinati sassi posti su quella determinata superfcie, il compositore individua un insieme di regole determinate, sulla cui base potrà improvvisare.

E' il compositore che compie l'organizzazione del suono, ciò che chiamiamo musica, e tutto si regge solo se trattenuto entro una soglia estremamente controllata, che assorba le provocazioni del caso, dell'indeterminato, del probabile, e le strutturi in un disegno compositivo. Scrive John Cage

“Se la parola musica è sacra e riservata alle strumentazioni dei secoli diciottesimo e diciannovesimo, oggi possiamo sostituirla con un termine più pregnante: organizzazione del suono”.

Nell'incipit dell'esecuzione però, in quel momento decisivo in cui l'autore si getta nel vuoto delle possibilità infnite, l' improvvisazione è rilevante e, in certo qual modo, defnitiva. Risulta poi altrettanto necessaria in presenza di un rumore esterno che casualmente entri nell'ambiente sonoro, mentre nel fnale della composizione, che musicalmente richiede di trovare una nuova modalità, l'autore deve agire ancora una volta secondo una regola, controllando i pattern delle oscillazioni, perché

“il caso va preparato” (ancora John Cage).

Pur non esistendo una vera e propria partitura, Petra è una composizione dal concept sottile e calcolato e qualora se ne volesse dare una rappresentazione grafca puntuale e verosimile, si riuscirebbe a visualizzarla, molto più coerentemente che altrove, nei tracciati mistilinei e assolutamente bidimensionali di alcuni disegni di Paul Klee, in particolare Luogo di culto del 1934. Raccolti in spiagge bellissime del Mediterraneo e dell'Africa, la conchiglia e i sassi, lasciati al naturale senza alcun trattamento, sono gli oggetti e insieme l'idea da cui nasce la composizione nella mente

dell'Autore il quale, in quanto musicista, intrattiene un rapporto privileggiato con ciò che può produrre suono. Di dimensioni diverse, i 17 oggetti sonori producono, ciascuno con le proprie qualità armoniche, linee ritmiche distinguibili di frequenze complesse, a volte in spiccati glissando.

Durante l'esecuzione, Leonardo Gensini assume movenze quasi da dj per provocare le oscillazioni dei sassi disposti in ordine voluto sul tavolo in vetro, con gesti che li mettono in azione, più che suonarli. Si liberano così le vibrazioni che ciascuno dei sassi contiene e con cui crea il proprio esclusivo pattern, alcune delle quali, a seconda della spinta e dell'accelerazione date, hanno una durata perfno superiore ai 40 secondi.

Petra svela quindi il suo coté zen, rintracciabile non soltanto negli oggetti prescelti e nella metodologia dell'esecuzione, ma anche nell'atteggiamento richiesto al pubblico già prima dell'inizio musicale: fermarsi semplicemente, senza aspettative, trovando la postura idonea alla concentrazione.

Trattandosi di suoni molto febili è necessario infatti porsi in atteggiamento di ascolto, aprirsi al silenzio e alla leggerezza, favorendo la ricezione e il superameto delle contraddizioni tra l'essere umano e le cose, tra musica e rumore. Un sottotitolo appropriato per questa composizione sarebbe allora Reset, ad indicare un azzeramento delle convinzioni usuali per risalire al grado zero della conoscenza. Circondati, contaminati, pressati da suoni e rumori artifciali di tecnologie invadenti, siamo chiamati, magari per pochi minuti, a riascoltare il silenzio e i suoni naturali forse mai uditi. In questo modo, l'intervento della tecnologia durante l'esecuzione – microfoni e mixer, sorta di microscopio che ingrandisce – crea evidente contraddizione fsica e ideale tra natura e artifcio, ma è necessario soltanto per amplifcare un suono tanto debole che altrimenti forse non riusciremmo mai a sentire. Buon ascolto.

 

Paola Pallotta

 

Leonardo Gensini. Nato a Roma nel 1959. Musicista e artista, ha studiato composizione con Domenico Guaccero, Mauro Bortolotti, Franco Donatoni e Sylvano Bussotti. La sua produzione comprende opere vocali, strumentali, elettroniche ed elettroacustiche. Strettissimo è il rapporto che molte delle sue opere intrattengono con le arti visive e teatrali. L'ultima produzione comprende lavori in cui convivono tecniche diverse: dalla serialità 'severa' alla pittografa, all'improvvisazione, all'alea; dalle elaborazioni elettroniche all'assunzione di 'materie' di ascendenza rock e jazz. Rassegne di musica contemporanea in Italia e all'estero ospitano sue composizioni e le sue opere grafco-pittoriche sono esposte in diverse gallerie d'arte italiane.